Salta e vai al contenuto principale

On App

Scarpe e abbigliamento da corsa svizzeri ad alte prestazioni

Libera la mente: come il movimento riconfigura il cervello

Sappiamo che il movimento ci fa cambiare prospettiva e stimola la nostra creatività. Ma in che modo? Uno sguardo approfondito alla scienza (e la magia) che spiega le connessioni fra il movimento e un miglioramento dei processi cognitivi.

Viso con cappuccio in bianco e nero con effetto sfocato
Viso con cappuccio in bianco e nero con effetto sfocato

Questo articolo è pubblicato nel numero 3 di OFF Magazine, la rivista cartacea annuale di On dedicata a movimento, design e sostenibilità.

Zoe Cormier

L’ex parà Keith Abraham ha combattuto per nove anni nel Reggimento Paracadutisti dei corpi scelti dell’esercito britannico, prestando servizio sia in Iraq che in Afghanistan. Nel 2002, nel corso dell’addestramento, ha fatto una scoperta inaspettata. I membri del reggimento dovevano completare corse di 10 km in salita, trasportando un carico di 54 kg a testa: un’impresa che chiunque troverebbe incredibilmente ardua e decisamente sconfortante. O semplicemente impossibile.

Ma per Abraham, oggi a capo della fondazione Heroic Hearts che fornisce sostegno e terapia ai veterani di guerra, quell’addestramento militare, e soprattutto le corse di resistenza, erano una vera magia, perché permettevano al suo cervello di raggiungere un livello di chiarezza e uno stato di flow che superava ogni sua aspettativa.

“È difficile raggiungere un livello di sforzo fisico così estremo se non ci si è costretti. E quando dico estremo, intendo davvero estremo, secondo qualsiasi parametro. Ma quello che ci insegnavano a fare, in realtà, era staccare la spina della mente”, continua. “Perché per poter proseguire per periodi prolungati, e trasportando carichi così elevati, devi per forza scollegare la mente e concentrarti sul respiro, sul controllo della respirazione. E in quello stato di flow, puoi andare avanti all’infinito.”

Da ragazzo Abraham aveva fatto molti sport, dal rugby al calcio allo sci. Ma paradossalmente, è stato solo nell’addestramento alla guerra che la sua mente ha trovato la pace.

“Quand’ero ragazzino lo sport era solo uno sfogo per le mie energie, non certo un modo di raggiungere uno stato di flow. Non avevo la lucidità per capire ciò che oggi so: che quelle fatiche erano un modo per trovare una connessione con la mia stessa mente”, afferma. “Mi è diventato sempre più chiaro che un allenamento pesante non è solo uno sfogo, ma anche qualcosa che dà vera gioia.”

Mi ci riconosco. Anch’io da ragazzina facevo un sacco di sport, ed ero soprattutto appassionata di baseball. Il massimo era fare lanci perfetti o battere un bel fuoricampo. Ma al pari di molte altre persone con aspirazioni accademiche, intorno ai vent’anni ho abbandonato lo sport perché mi prendeva troppo tempo, e io dovevo concentrarmi sui miei studi.

Vent’anni dopo sono stata costretta a riscoprire l’efficacia dell’attività fisica, e soprattutto degli allenamenti cardio ad alta intensità, quando un incendio quasi mortale mi ha praticamente distrutto l’appartamento lasciandomi senza un tetto per due mesi. Lo stress mi aveva distrutta ed ero caduta in depressione, che non è affatto usuale per me. Benché mi fossi lasciata alle spalle quell’esperienza, tutti i circuiti del mio cervello erano in uno stato depressivo, e io non riuscivo a disattivarli. Ero perennemente stanca. Ne soffriva la mia scrittura, e di conseguenza la mia carriera e le mie finanze. Non era un bel periodo.

Immagine astratta di alberi e ramiImmagine astratta di alberi e rami
Un cespuglio rossiccio Un cespuglio rossiccio

Così ho fatto ciò che farebbe qualsiasi persona di buon senso: per la prima volta nella mia vita mi sono iscritta a una palestra, seguendo il consiglio secondo cui quella era la cosa migliore che potessi fare per rigenerare corpo e mente. Per la prima volta sono salita su una cyclette e su una ellittica per eliminare con una sudata l’orrore di due mesi di stress e insonnia.

È a quel punto che ho riscoperto ciò che non avrei mai dovuto dimenticare: l’esercizio fisico è magico per la mente. Dopo ogni allenamento non mi sentivo solo più positiva e rilassata, immersa nell’euforia da endorfine, ma anche più lucida e vigile. Mi ricordavo indirizzi e numeri di telefono senza alcuno sforzo. Le odiosissime pratiche burocratiche e amministrative erano diventate una passeggiata. Scorrevo una pila di giornali alla velocità della luce. La mia carriera aveva raggiunto nuove vette. Da quel momento ho preso l’abitudine di concedermi una bella mezz’ora di cardio ogni volta che devo pensare a un pezzo che sto scrivendo: appena mi allontano dalla scrivania, e mi concentro solo sul suono del mio respiro e dei battiti del mio cuore, generare nuove idee o un nuovo taglio per una storia mi risulta molto più facile.

Non avrei mai dovuto scordare la magia del movimento; ero un’atleta ben prima di diventare una scrittrice. Ma dopo quell’incendio non ho mai smesso di andare in palestra, anche quando non ne ho voglia. “Lo faccio per il cervello, ancora prima che per il corpo”, mi ripeto ogni volta che non sono dell’umore di andarci.

“Abbiamo vissuto tutti l’esperienza di non aver voglia di andare in palestra per poi sentirci, a fine sessione, come se nelle vene ci scorresse il sangue degli dei”, dice la dottoressa Jaime Tartar, la responsabile del programma di neuroscienze del dipartimento di psicologia e neuroscienza della Nova Southeastern University, Florida.

La dott.ssa Tartar è anche una cofondatrice della Society for Neurosports, un progetto interdisciplinare in cui neuroscienziati e studiosi dell’esercizio fisico sono accomunati da un obiettivo fondamentale: “Capire che cosa sia realmente questo fenomeno: perché ci si sente più brillanti, più forti, e in generale molto meglio, con un po’ di attività fisica?”

Si sente molto parlare dell’“euforia del runner” e della “scarica di endorfine” che ci conferisce quell’aura di splendore post-allenamento, ma secondo Tartar c’è molto di più.

“L’esercizio fisico è il modo migliore di scongiurare la depressione, migliorare le capacità cognitive, diminuire lo stress, attenuare l’ansia e persino prevenire la demenza”, riassume. “E ciò vale per chiunque, che si tratti di un calciatore della nazionale o di una persona qualunque. Se potessimo venderne i benefici sotto forma di pillola, la comprerebbero tutti, ma proprio tutti.”

E ha ragione.

Appena il cuore comincia a battere forte, inonda il cervello di sangue. Anche una semplice passeggiata può aumentare il flusso sanguigno del 15% grazie alla compressione di arterie e vene dei piedi.¹ Questa maggiore irrorazione di sangue porta con sé utilissimi ormoni, neurotrasmettitori e altre sostanze biochimiche: si tratta dei messaggeri della mente, che veicolano informazioni fra cellule cerebrali, permettendone il funzionamento ottimale.

In gran parte, queste sostanze le conosciamo già. Le endorfine, che ci danno quella famosa scarica. Gli endocannabinoidi, i nostri antidolorifici interni. La dopamina, la sostanza chimica del piacere che viene stimolata da droghe, alcol, gioco d’azzardo e altri vizi. L’adrenalina, l’ormone del “combatti o fuggi” che si libera in caso di pericolo o forte stress, preparandoci ad affrontare situazioni di emergenza. E, dulcis in fundo, le citochine: antinfiammatori che attenuano le infiammazioni a livello sistemico, viste sempre più spesso come un fattore determinante della depressione.

Vista su un fiume nella valle dall’alto di una collina
Vista su un fiume nella valle dall’alto di una collina

Quell’afflusso di sangue al cervello viene diretto in larghissima misura alla corteccia frontale. Questa è una delle regioni cerebrali di più recente evoluzione ed è in genere associata al pensiero superiore e ai processi cognitivi. Moltissimi studi hanno dimostrato che pompare sangue, insieme ai suoi benefici neurotrasmettitori, nella corteccia frontale apporta miglioramenti immediati a ogni livello di intelligenza o abilità cognitiva: capacità mnemonica, ragionamento spaziale, problem solving, velocità di elaborazione, concentrazione, pensiero laterale, creatività e altro ancora.

La combinazione di uno stato d’animo positivo e una capacità superiore di elaborare informazioni complesse porta a un altro degli effetti magici dell’esercizio fisico: alleviare l’ansia e migliorare la resilienza. “L’attività fisica è un vaccino contro le informazioni negative”, riassume Tartar.

In altre parole: “Con l’esercizio fisico, tutti i neuroni si risvegliano, entusiasti e pronti all’azione”, afferma il neuropsichiatra John Ratey, professore associato di psichiatria alla Medical School di Harvard e autore di 11 volumi e più di 60 pubblicazioni scientifiche. Grazie ai suoi studi pionieristici sui benefici cognitivi dell’attività fisica risalenti agli anni ‘90 del secolo scorso, al tempo in cui ben pochi neuroscienziati se ne interessavano, Ratey è oggi considerato uno dei “grandi vecchi” del campo.

I benefici a lungo termine dell’attività fisica quotidiana, dal miglioramento cognitivo a una riduzione del rischio di demenza, sono ormai noti. Ma il dott. Ratey dice che è ancora più importante pensare all’esercizio fisico come a “una cosa che si fa per quel giorno stesso”.

“Ti rende entusiasta della vita.”

Dopamina, endorfine, adrenalina, citochine: un ricchissimo menu biochimico.

È importante tenere presente che il cervello, pur ammontando al 2% del nostro peso corporeo totale, consuma il 20% del nostro budget energetico. Molto più di quanto ci si aspetti, e non a caso. Come ha affermato nel 1973 il leggendario scienziato ucraino-americano Theodosius Dobzhansky: “In biologia niente ha senso, se non in una prospettiva evolutiva”.

“Sappiamo dai reperti fossili che quando siamo diventati cacciatori-raccoglitori la corteccia frontale si è espansa, acquisendo nuovi neuroni, proprio perché avevamo bisogno di seguire i nostri movimenti”, spiega il dott. Ratey. “Siamo diventati più abili, più strategici, e quindi ci serviva una migliore capacità di concentrazione.”

Il che ha perfettamente senso. Esplorare zone sempre più ampie alla ricerca di cibo significava tenere a mente molti più dati: quali piante ci avrebbero saziato e quali ci avrebbero ucciso; dove si trovavano; quand’erano mature e quando non lo erano.

Se si aggiunge a tutto questo la caccia, e la conseguente necessità di localizzare e prevedere i movimenti della preda, oltre alla capacità di giocare d’anticipo, diventa ancora più facile capire che sia stato il maggiore movimento a determinare l’evoluzione del nostro cervello (e non viceversa).

Secondo il pensiero tradizionale, un cervello bello grosso precede un fisico olimpionico, ma le nuove ricerche hanno invertito l’equazione: ci serviva un cervello più grande perché ci muovevamo di più. In altre parole, non avremmo sviluppato la capacità di calcolo se non fosse stato per le originali “scimmie atletiche”.

“Esiste un rapporto bidirezionale fra il movimento e la salute del cervello. Se vuoi un cervello sano, devi avere un corpo in movimento”, sostiene la dott.ssa Tartar. “Molti neuroscienziati affermano addirittura che l’unico motivo per cui gli animali hanno un cervello è perché si muovono così tanto.”

Primo piano su un ramo di alberoPrimo piano su un ramo di albero
Due piante con fibre peloseDue piante con fibre pelose

“Prendete i tunicati, noti anche come ascidie”, aggiunge Tartar. “Finché galleggiano nell’oceano, andandosene in giro, possiedono un cervello rudimentale. Ma nel momento in cui passano a una forma bentonica e si attaccano a una roccia, il loro corpo assorbe e digerisce quel prezioso cervello, perché quell’organo energeticamente dispendioso non è più necessario.”

Saremo anche separati dalle ascidie da centinaia di milioni di anni di evoluzione, ma condividiamo con loro l’80% dei nostri geni. E quindi il restringimento cerebrale conseguente a inattività si riscontra, prevedibilmente, anche negli esseri umani. Uno studio del 2018, pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica PLOS One, dall’innocuo titolo che tradotto letteralmente significa “Comportamento sedentario associato a ridotto spessore del lobo temporale mediale in adulti di mezza età ed età avanzata”, ha scoperto una correlazione fra l’inattività e la riduzione delle dimensioni della parte di cervello contenente l’ippocampo e l’amigdala, che sono fondamentali nella formazione e conservazione dei ricordi.

Le implicazioni dovrebbero farci riflettere.

“Continuo a trovare sorprendente che le persone sappiano così poco del rapporto tra forma fisica e lucidità mentale”, dice il dott. Ratey, puntando il dito contro l’ascesa di Internet e la grande prevalenza di lavori sedentari. “A pensarci è incredibile quanto ignoriamo i bisogni del nostro corpo. Siamo addirittura al punto in cui ci insegnano a ignorarli.”

La fisiologa dello sport Sue Hitzmann, di New York, la mette in termini ancora più estremi:

“Il modo più semplice di spiegare quanto sia importante per il cervello l’attività fisica è il seguente: quando stai su una sedia tutto il giorno e non ti muovi, ti rattrappisci letteralmente il cervello”, dice.

La bella notizia però è che anche una quantità moderata di attività fisica quotidiana è sufficiente a contrastare gli effetti deleteri dell’inattività, stando alla dottoressa Allison Brager, scienziata militare e autrice di Meathead: Unraveling the Athletic Brain.

“Bastano 45-60 minuti al giorno: è il numero magico per apportare benefici alla salute sotto ogni punto di vista”, afferma.

“Come per molti fenomeni della biologia, esiste una ‘curva dose-risposta’”, dice Brager. “Se fai troppo poco esercizio fisico, la risposta del corpo è negativa, ma lo è anche se ne fai troppo. Per promuovere la salute del cervello basta una quantità equilibrata, sana e moderata.”

I benefici del movimento non si percepiscono solo durante e subito dopo un allenamento, ma si accumulano con il tempo. In breve, repetita iuvant. A ogni livello della cognizione umana, dalla memoria a lungo termine alla velocità di elaborazione al problem solving, è stato dimostrato che dosi quotidiane di esercizio fisico mantengono il cervello plastico, giovane e sano.

E come dicevo, per questi benefici dobbiamo ringraziare i neurotrasmettitori, gli ormoni e altre sostanze biochimiche - i messaggeri del cervello. L’ormone della crescita HGH (human growth hormone), che è essenziale per il nostro sviluppo durante la pubertà ma cala quando raggiungiamo i trent’anni, aumenta con il movimento quotidiano. E ci mantiene giovani. Stesso dicasi per l’osteocalcina, l’ormone che favorisce l’integrità delle ossa, e di cui ogni persona ha bisogno soprattutto in vista del maggiore rischio di incidenti e cadute tipico dell’invecchiamento. L’irisina, detta “l’ormone dello sport”, è anch’essa stimolata dall’attività fisica quotidiana. Scoperta solo in tempi recenti, i suoi benefici non sono ancora stati identificati del tutto.

Il neurotrasmettitore più ampiamente studiato, regolarmente dimostratosi capace di indurre cambiamenti misurabili nell’anatomia e nelle funzioni cerebrali, è il fattore neurotrofico cerebrale, ossia il BDNF (Brain-Derived Neurotrophic Factor), che promuove la neurogenesi (la formazione di nuovi neuroni) e la sinaptogenesi (la formazione di nuove sinapsi, o connessioni fra neuroni). Lo potremmo considerare una specie di fertilizzante per il cervello, seguendo il dott. Ratey che l’ha chiamato “concime per la mente”.

Immagine sfocata del viso di una persona con un cappuccio
Immagine sfocata del viso di una persona con un cappuccio

In passato si riteneva che non fossimo in grado di produrre nuove cellule cerebrali dopo l’adolescenza, ma niente potrebbe essere più falso. “Se c’è una cosa che conosco del cervello, e di quanto sia fantastico, è la sua estrema plasticità”, dice Hitzmann. “E se diventa un’abitudine, l’attività fisica contribuisce a produrre nuovi neuroni.”

Se non si sviluppa questa abitudine, non solo non si producono nuovi neuroni, ma aumenta anche il rischio di contrarre l’Alzheimer, il Parkinson e altre malattie neurodegenerative. In biologia, per comprendere la funzione di qualcosa come un organo o un gene, è necessario rimuoverlo dal sistema (si pensi a un topo geneticamente modificato). Lo stesso vale per l’esercizio fisico. L’evoluzione ha portato il cervello ad aver bisogno di attività fisica quotidiana. Se gli manca, ne soffre.

Si ritiene che oggi nel mondo più di 57 milioni di persone siano affette dal morbo di Alzheimer,¹⁴ e che il totale sia destinato a superare i 15 milioni entro il 2050\. Nel 2011, uno studio pionieristico ha stimato che il 13% dei casi di Alzheimer sia attribuibile a un comportamento sedentario, e che riducendo la nostra sedentarietà collettiva del 25% si potrebbe prevenire fino a un milione di casi¹⁵.

In poche parole: il divano ci fa male.

“È ormai chiaro che l’attività fisica protegge contro le malattie degenerative, aiutandoci a mantenere sane le nostre facoltà cognitive”, afferma il dott. Art Kramer, direttore del Center for Cognitive and Brain Health e professore di psicologia alla Northeastern University di Boston.

La sua è una voce autorevole: il dott. Kramer ha pubblicato uno dei primissimi studi sui sorprendenti benefici dell’esercizio fisico sulle capacità cognitive su Nature, una delle più prestigiose riviste scientifiche del mondo.

Dopo aver diviso 124 adulti di età compresa fra i 60 e i 75 anni in due gruppi e aver fornito a uno un programma di esercizio aerobico (camminate) e all’altro uno anaerobico (esercizi di stretching e tonificazione), aveva scoperto che il gruppo aerobico dimostrava un miglioramento delle funzioni esecutive come organizzazione, programmazione e memoria di lavoro. Ma nel gruppo anaerobico questo non si era verificato.

“Anche nelle persone anziane l’esercizio aerobico apporta miglioramenti di tutte le capacità cognitive, fra cui memoria, ragionamento, problem solving e attenzione”, afferma Kramer.

Inoltre, un’attività aerobica dolce non serve solo a mantenere il nostro attuale livello di capacità cognitiva: può addirittura migliorarlo, anche in età avanzata. La sua ricerca ha dimostrato che un aumento seppur limitato di attività fisica può migliorare anche del 20% le prestazioni della memoria, indipendentemente dall’età.*

Con tutte le alternative a disposizione - corsa, camminata, nuoto, yoga, Zumba, boxe, HIIT (allenamento intervallato ad alta intensità), CrossFit - come si fa a trovare l’attività migliore per il cervello?

La risposta è molto semplice: fai quello che ti piace e che ti viene spontaneo fare. Perché se lo fai volentieri, continuerai a farlo quotidianamente. “Qualunque cosa tu faccia, l’importante è non smettere”, riassume il dott. Kramer.

Se la tua droga fisica preferita è la corsa, gli studi svolti sia su animali che su esseri umani dimostrano che fa bene al cervello sia sul piano fisico che su quello cognitivo. Nei ratti sottoposti a un’attività fisica equivalente a una corsa quotidiana si è verificata neurogenesi nell’ippocampo, che è fondamentale per la creazione di ricordi.

Le ombre di due persone sull’erba
Le ombre di due persone sull’erba

Tradizionalmente, fare simili esperimenti sugli esseri umani era praticamente impossibile, perché non si può dissezionare un cervello umano subito dopo una corsa per verificarne la struttura cellulare. Per fortuna, le nuove tecnologie di imaging ci permettono di osservare i cambiamenti che avvengono nel cervello durante e dopo una corsa (che in precedenza erano difficili da misurare a causa del costante movimento della testa, e infatti la maggior parte degli studi sui benefici cognitivi dell’attività cardio erano condotti su ciclisti stazionari). Un altro studio rivoluzionario pubblicato su Nature nel 2021 ha dimostrato, tramite spettroscopia nel vicino infrarosso, che correre per soli 10 minuti aumenta il flusso sanguigno nella corteccia prefrontale e, stando a test cognitivi standard, migliora la funzione esecutiva.

Se la corsa non fa per te, o se vuoi variare l’allenamento, prendi in considerazione gli sport di squadra. Gli esseri umani sono creature sociali, e qualsiasi attività in cui dobbiamo coordinare il nostro movimento a quello di altre persone, dalla pallacanestro alla danza o al tennis, richiede al nostro cervello più impegno rispetto alle attività solitarie.

“Per migliorare il cervello, il segreto è sottoporlo a stress”, spiega il dott. Ratey. “Per questo le attività complesse come la boxe o le arti marziali miste possono essere di grandissimo beneficio per il cervello, perché ci impongono di prestare attenzione a numerosi fattori contemporaneamente.”

Secondo il dott. Ratey, è per questo motivo che i neuroscienziati raccomandano il ballo, e soprattutto quello particolarmente intenso, come il migliore tipo di attività per la corteccia frontale.

“Se il tuo cervello deve coordinare i tuoi movimenti alla musica e allo stesso tempo tenere conto di chi ti circonda, è un compito non indifferente”, afferma il dott. Ratey. Aggiungi la scarica di endorfine, ossitocina e dopamina dovuti al piacere derivante dalla musica, e hai un altro “high” neurologico. “Proprio come nelle arti marziali, il ballo richiede la forma corretta: devi prestare attenzione a moltissime cose, è incredibilmente complicato. Assolutamente ottimo per il cervello.”

E questo non sorprende di certo Joe Verghese, professore di neurologia e medicina presso l’Albert Einstein College of Medicine. Il dott. Verghese studia i benefici cognitivi del ballo da quasi 20 anni, dopo aver pubblicato sul New England Journal of Medicine, nel 2003, uno studio fondamentale sugli effetti sorprendentemente positivi esercitati dal ballo sul cervello. “Delle 11 attività fisiche prese in esame, il ballo si è distinto chiaramente come quella associata a un diminuito rischio di demenza”, afferma.

“Succedono tante cose contemporaneamente. L’aspetto fisico, quello sociale, quello creativo: qui tutto converge.”

È una sfida unica per il cervello, e per questo impareggiabile quanto alla sua utilità. “Perché il miglior modo di mettere il cervello sotto stress è sommergerlo con una moltitudine di richieste”, riassume il dott. Ratey.

Se i benefici del movimento si basano su biochimica e biomeccanica, non ci sarà un modo di aggirare il sistema? Non potremmo ottenere gli stessi benefici con un allenamento breve ma intenso come l’HIIT?

La dott.ssa Brager dice che non ce n’è bisogno, e fa presente il concetto di NEAT (Non-Exercise Activity Thermogenesis), ossia “Termogenesi da attività non associabile all’esercizio fisico”. Non esiste solo il sollevamento pesi: possiamo ottenere altrettanti benefici da semplici attività quotidiane, facendo giardinaggio, salendo le scale, rincorrendo i bambini o andando al lavoro a piedi. “È un effetto cumulativo. Andare in palestra non è indispensabile.”

E se potessimo - orrore - prendere una pillola?

“Pensate quel che volete, ma non esiste una pillola che possa ricreare tutti quegli effetti”, dice la dott.ssa Brager, sottolineando l’impatto quasi impercettibile eppure potente che una semplice camminata ha sulle nostre cellule, come ad esempio il miglioramento dei ‘lavori di manutenzione’ compiuti dalle cellule gliali, che eliminano i prodotti di scarto delle cellule mentre dormiamo. O ancora, il modo incredibile in cui una lezione di ballo arricchisce la sostanza bianca del cervello, la cosiddetta autostrada della mente.²¹

“L’esercizio fisico promuove anche il rilascio di fattori neurotrofici da organelli specializzati detti esosomi, il cui impatto va dai muscoli scheletrici al plasma e infine al cervello”, ribadisce la dott.ssa Brager. “Non si può replicare con una pillola.”

Non lo saprei dire meglio di Sue Hitzmann:

“Concentrarsi sul piacere derivato dagli effetti antidepressivi delle ‘sostanze chimiche della felicità’ rilasciate dall’attività fisica non coglie il punto fondamentale: il fatto che l’attività fisica rende il cervello più sensibile alla gioia che la vita ci può offrire”, afferma.

Immagine sfuocata in bianco e nero di una persona che corre
Immagine sfuocata in bianco e nero di una persona che corre

E riecco quella parola, usata all’inizio dell’articolo citando Abraham: gioia.

L’idea che la depressione produca meravigliose opere d’arte è un mito ampiamente sopravvalutato. In uno stato di depressione profonda non riusciamo a concentrarci o a pensare chiaramente, e spesso non troviamo nemmeno la forza o la determinazione per portare a termine qualsiasi cosa, e questo aumenta il nostro malessere. Soltanto ricaricando il proprio corpo si può ricaricare la mente, e la depressione potrebbe proprio essere il campanello d'allarme che il corpo invia al cervello per segnalargli che qualcosa non va.

In altre parole, le piacevoli sensazioni derivanti dall’esercizio fisico che si notano nell’euforia da endorfine non sono solo la ciliegina sulla torta: sono la chiave per scatenare le potenzialità del movimento a livello cognitivo. Il movimento potrebbe essere fondamentale non soltanto per un miglioramento delle capacità cognitive nel momento presente, ma addirittura per comprendere l’evoluzione della coscienza stessa.

Bibliografia

  1. Reference source link

  2. Reference source link

  3. Reference source link

  4. Reference source link

  5. Reference source link

  6. Reference source link

  7. Reference source link

  8. Reference source link

  9. Reference source link

  10. Reference source link

  11. Reference source link

  12. Reference source link

  13. Reference source link

  14. Reference source link

  15. Reference source link

  16. Reference source link

  17. Reference source link

  18. Reference source link

  19. Reference source link

  20. Reference source link

  21. Reference source link